Pietro Jarre
eMemory
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6 min readSep 14, 2020

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Bambi bambini nel bosco del World Wild Web (proposta di articolo per ENNE — rivista Polo ‘900)

Nel maggio 2017 organizzammo un incontro pubblico tra informatici, esperti di media, giuristi, medici e altri. Il tema era “l’uso consapevole del web”, lo slogan “verso una rete responsabile”; l’intervento di Peppino Ortoleva (1) proponeva una metafora potente che da allora non ho smesso di citare appena posso: ci muoviamo nel web come animali del bosco, lasciamo molte tracce, i cacciatori le seguono, possono capire dove più di frequente passiamo, e sono interessati a sapere anche in che direzione ci muoviamo, da dove veniamo e dove andremo.

Poco dopo quell’incontro, con sei amici fondammo l’Associazione Sloweb, la cui mission è indicata in figura, mentre continuavo a lavorare con degli informatici per sviluppare due piattaforme dedicate alla valorizzazione dei dati e delle memorie personali digitali, cioè delle tracce che volontariamente (ogni tanto), e involontariamente (quasi sempre), lasciamo sul web, percorrendo l’infrastruttura di Internet.

Ma quante tracce lasciamo sul web? Molte, ma molte di più di quante pensiamo; in primo luogo, abbiamo ormai capito e avuto esperienza del fatto che l’operazione “cancella” è spesso solo formale: l’oggetto cancellato non compare, non viene indicato, sull’indice — appunto — che lo richiama … ma la sua presenza persiste, la traccia della sua esistenza è tutt’altro che cancellata. Con semplici operazioni — senza dover mobilitare l’informatica forense — si può ritrovare, sul nostro disco fisso, come su internet, una buona parte di ciò che noi avevamo “cancellato”.

In secondo luogo lasciamo tracce ogni volta che le nostre dita si posano sulla tastiera, a volte anche senza che questo accada; il nostro cellulare, per esempio, traccia i momenti in cui lo abbiamo preso in mano, gli spostamenti che gli abbiamo imposto, spesso anche se spento. Il mio Iphone mi è stato venduto con molte “app” già installate e diverse opzioni già “prescelte”. In qualche modo, si direbbe che lo strumento che mi è stato fornito è stato predisposto da qualcuno che “sapeva” o si arrogava il diritto di “poter sapere” quali fossero le mie preferenze, e, così facendo, di fatto le predeterminava.

Vorrei sottolineare che questa “consuetudine” è uno dei tanti concetti che determinano un uso particolare del web, poco democratico e per nulla istruttivo. Un uso che tende a rendere l’utente irresponsabile, prono a delegare alla macchina ogni scelta, per ora le banali… Dunque, lascio tracce solo perché “possiedo” un determinato strumento, lo porto a spasso, e come un cane incontinente quello lascia tracce ad ogni cantone.

In terzo luogo, lascio tracce poiché opero sul web, tramite internet e i device che possiedo; tutti sappiamo che lasciamo tracce circa i siti web che abbiamo usato. Ne lasciamo molte altre: un mattino entro in ufficio e vedo i miei informatici che stanno davanti allo schermo, muti e immobili. Sullo schermo una freccia indica il puntamento di un mouse. In basso, un contatore segna il tempo delle soste. Ma chi muove il mouse? Nessuno, qui. Un utente che usa il sito da loro predisposto, là oltre lo schermo. Qui, noi possiamo vedere non solo che pagine l’utente sta aprendo, ma dove si ferma, dove e quanto esita, da dove viene, dove va, e possiamo intuire il perché. Siamo cacciatori fortunati, vediamo il nostro bambi dove trema di gioia perché ha visto la risorgiva di acqua fresca, come zampetta là sulla collina dove l’erba è più tenera. Possiamo seguirlo, capirlo, ne sentiamo brividi e passioni; possiamo seguire lui e tramite lui identificare i suoi amichetti, studiare il comportamento della loro consorteria.

Questi dati, allineati, diventano tracce e percorsi, e capito il comportamento dei bambi sarà facile fare trovare loro l’erba più tenera e l’acqua più fresca, comodi e vicini, presso il nostro negozio, senza che bambi debba fare troppa fatica. Bambi, prepubere, un poco sovrappeso, passerà poi più tempo allo schermo, ma comprerà da noi, pagherà sempre di più pur di non muoversi, pur di trovare sempre quell’erba così appetitosa, quei trifogli che solo noi sappiamo dargli tanti a tanto buon prezzo. Ipnotizzato dallo schermo bambi avrà dotato la sua tana di molti sensori che gli renderanno la vita ancora più semplice, individueranno le bambi più adatte a lui e magari gliele porteranno alla tana, o perlomeno loro buoni ologrammi così che bambi adolescente non si stanchi troppo. Ogni sensore invierà bambidati al suo produttore vero (che non è quello scritto sulla targa del frigorifero, è quello scritto sul chip che accumula e trasmette dati e ogni elettrodomestico che si rispetti ormai contiene, non solo quelli del Re Leone). La smartana di bambi sarà presa a modello dagli altri animali del bosco, e in poco tempo il bosco sarà smart. Si, andrà a fuoco molto più di prima, ma farà molto fico avere la tana nel bosco smart, anche se tutti quegli animaletti, a forza di lasciare tracce e spintonarsi nei giochi online avranno spianato il terreno, e ridotto il bosco ad un pantano uniforme e privo di cibo, ma non importa, perché il cibo tanto arriva online da lontane praterie.

Too Smart (2) è uno dei libri recenti che ragiona su questo e consiglio caldamente; esplora il problema delle tracce, dei dati e del capitalismo digitale dalle fondamenta, fa l’analisi della natura estrattiva dell’industria dei dati. Molti dicono “i dati sono il nuovo petrolio” e chissà perché ne gioiscono, quasi avessimo bisogno di altri oligopoli, di nuove disuguaglianze, di altre Stalingrado.

Usiamo il web o ne siamo usati? Ma non si potrebbe impedire che tutte queste tracce fossero lasciate, non si potrebbe fare in modo che bambi non ingrassi, e il bosco non si impoverisca? Si possono fare delle cose: le devono fare in primo luogo l’industria che produce / usa tecnologie e prodotti digitali, e qualche timido passo si intravede (3), seppure è chiaro che tanto, se non è forzata, non farà.

Le devono poi fare gli stati, e soprattutto le istituzioni sovranazionali, poiché gli stati ormai hanno dimen sioni troppo piccole rispetto ai giganti dell’ICT. Non dimentichiamo peraltro che la federazione USA nel 1911 spezzò in 34 pezzi la Standard Oil, considerata “monopolista”.

Infine, lo possono poi fare i cittadini, dotandosi di strumenti di educazione, istruzione e lotta (conditio senza la quale i cambiamenti dell’industria avvizziscono presto e il legislatore perde forza) per un uso più consapevole del web, che promuova vecchi diritti calpestati e nuovi diritti emergenti:

- Diritto all’accesso. Ancora negato a troppi

- Diritto alla privacy. Poco praticato fuori EU

- Diritto alla disconnessione. Non ancora capito (4), ma il CV19 ha dato una mano

- Diritto al possesso dei propri dati, all’uso della profilazione per se stessi (5). Ancora da focalizzare

- Diritto alla eredità digitale e all’oblio (social account che permangono, conti e polizze che si perdono). Emergente (6)

1. P. Jarre, F. Bottino, Sloweb — Piccola guida all’uso responsabile del web — Golem Ed. 2018

2. J. Sadowski — Too Smart: How Digital Capitalism Is Extracting Data, Controlling Our Lives, and Taking over the World — MIT Press Apr. 2020

3. L. Lobschat and F. Eggers — Corporate Digital Responsibility. Journal of Business Research · January 2020

4. A. Carciofi — Digital Detox — Hoepli — 2017

5. P. Jarre — The ecological use of digital data — E3S Web Conf. Volume 119, 2019

6. P. Jarre — Coronavirus ed eredità digitale: se muoio, che fine fanno conti, account e segreti? Sole 24 ore 21 aprile 2020

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